Adolescenza: Il ragazzo e l’airone
Che meraviglia è riuscire a vedere al cinema “Il ragazzo e l’airone” di Miyazaki.
Naso in su e occhi rapiti, immersi in “cose e case lontane”.
Vedere le forme e i colori delle immagini sentendosi ancora piccoli e liberi e, al risveglio, inevitabilmente vecchi.
In questo tempo molto volubile, in cui la ricerca di nuove identificazioni veloci e fugaci, è sempre più oggetto delle produzioni cinematografiche e letterarie. Tempo in cui si deve dare un nome a tutto per poter sopravvivere all’angoscia dell’ignoto, del non conosciuto; allo stordimento che comporta l’assaporare quanto può essere vile e banale prendere consapevolezza della fallacità dell’umano. Alla frustrazione che deriva ad esempio, dal sostenere un bambino qualunque che, nel divenire adulto si trova e si sperimenta “diverso” da come un genitore, la scuola, la società lo avrebbe desiderato o voluto, Miyazaki risponde con una ricerca del senso dell’adolescenza in cui il soggetto è al centro di un labirinto.
È così vediamo apparire sullo schermo, in un piccolo e delicato capolavoro, la sublimazione della perdita, il superamento di una soglia, l’elaborazione del lutto.
“Chi mi conoscerà morirà” è scritto sulla porta di una tomba di un mondo parallelo.
Lutto non è solo quello che si incontra quando un altro a cui teniamo muore, ma è il tempo di elaborazione e il tentativo di superare il dramma di non essere più bambini. Mahito ci mostra come assumere un posto nel mondo. Una delle strade possibili. Uno dei destini possibili.
Non l’unica strada, non la migliore per tutti ma sicuramente è l’unica che percorrerà lui. Sarà una strada grazie a cui Mahito potrà superare la “sua soglia”, affrontare l’orrore che ha incontrato nella “sua vita”, la guerra che ha devastata la “sua famiglia”, la morte di “sua madre”, la consapevolezza infine, che tutto scorre e che la “sua vita” va avanti.
Buona visione per chi lo desidera.
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